-------- La legge in Cina e in Occidente: un confronto – Biblioteca Montepulciano Calamandrei
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La legge in Cina e in Occidente: un confronto

Orientalismo legale: un nuovo approccio alla lettura della tradizione giuridica cinese

Teemo Ruskola, Legal Orientalism, China, the United States and Modern Law, Harvard University Press, 2013

Una lettura della tradizione giuridica cinese alla luce dell’approccio comparativista ma soprattutto degli studi postcoloniali, ispirata alla teoria dell'”orientalismo” di Edward Said nel presentarci un “orientalismo legale” che è di fatto una narrazione occidentale sull’assenza di legge in Oriente ed in particolare in Cina. Ma non solo: il saggio di Ruskola esplora anche l’uso della legge da parte degli Stati Uniti in Cina e verso i cittadini di origine cinese con la Corte istituita a Shanghai nel primo Novecento (abrogata solo nel 1943) e con le Chinese Exclusion Laws del XIX secolo: casi in cui l’assunto dell’assenza di legge in Cina viene usato pretestuosamente per creare dei mostri giuridici.

Con Legal Orientalism, China, the United States and Modern Law, Teemo Ruskola parte all’assalto del pregiudizio consolidato dell’assenza di legge nella tradizione cinese, che nutre altresì l’idea della Cina campione della violazione dei diritti umani  e della rule of law (stato di diritto), contrapposta agli Stati Uniti come principale custode del diritto a livello mondiale e campione della diffusione della rule of law ovunque, e soprattutto in Cina. Ed ovviamente lo stato di diritto è la modernità che la Cina deve acquisire conformandosi. Nel relativizzare la rule of law Ruskola si richiama all’approccio di Ugo Mattei che contesta il suo uso per imporre l’egemonia statunitense a livello globale.

La lettura è faticosa, perché non costituisce un’analisi diretta della tradizione  giuridica cinese, bensì della sua rappresentazione occidentale, e della strumentalità e parzialità di quest’ultima, ma contribuisce a scuotere molte certezze e a ricostruire fenomeni storici troppo spesso ignorati, come l’extraterritorialità giuridica della presenza occidentale nelle concessioni cinesi e le discriminazioni giuridiche applicate verso gli immigrati di origine cinese negli Stati Uniti.

L’autore, professore di diritto alla Emory University, lamenta che quando dichiara di studiare il diritto in Cina, la maggior parte degli interlocutori si meravigli perché reputa caratteristica precipua della Cina, nella tradizione del dispotismo asiatico, l’assenza di legge, ed in particolare del diritto civile (ovviamente tutti riconoscono la lunga tradizione di diritto penale dell’Impero cinese, fin dai codici della dinastia Tang) . Il pregiudizio è radicato fin dalla narrazione di Montesquieu sul dispotismo orientale e confermato dalla lettura del sinologo Marcel Granet che nel 1934 afferma: “il concetto cinese di Ordine esclude, in tutti i suoi aspetti, la nozione di Legge”. Recentemente in Italia lo ha ripreso Renata Pisu in Né Dio né legge (Laterza 2013). Ruskola cerca di sfatarlo con una interpretazione estensiva del familismo confuciano, individuando nelle regole dei clan una sorta di embrione di diritto societario. A parere di Ruskola, lungi dal doversi necessariamente conformare alle norme occidentali, la Cina potrebbe sviluppare proprie forme originali, utilizzando la propria tradizione fondata sul collettivo piuttosto che sull’individuo.

La parte più originale della ricerca di Ruskola riguarda proprio la sua analisi del diritto di famiglia cinese come possibile embrione del diritto societario, sviluppata nel capitolo terzo. Se nella tradizione confuciana il collettivo famiglia è superiore all’individuo ciò significa che nella tradizione giuridica cinese una personalità giuridica collettiva esiste e può essere il fondamento del diritto societario della modernità. Tanto più che le imprese familiari sono all’origine dell’imprenditoria cinese. Insomma, secondo Ruskola, così come la tradizione occidentale ha costretto a personificare o individualizzare il soggetto giuridico, la tradizione cinese costringe a “familiarizzarlo” .

L’altra faccia della medaglia della negazione operata dall’interpretazione occidentale è la creazione di un diritto extraterritoriale in Cina: insomma la narrazione orientalista giustifica la creazione di una giurisdizione extraterritoriale in Cina ed una legislazione discriminatoria nei confronti degli immigrati cinesi, ed è la storia analizzata nei capitoli 4 e 5 del saggio.

Nell’epilogo l’autore si interroga sugli sviluppi odierni del diritto in Cina, paventando una sorta di “auto colonizzazione” a partire dalle riforme del 1978. Dopo aver sommariamente accennato alla scarsa considerazione della legge da parte del regime comunista, per il quale vale essenzialmente la distinzione amico-nemico, Ruskola affronta l’enorme produzione legislativa che si  registra nella Cina post-maoista e l’inserimento della rule of law nella Costituzione cinese: la Cina è ora uno Stato di diritto socialista e nel 2008 il Consiglio di stato ha prodotto un Libro bianco sulla promozione della rule of law in Cina. Ruskola non nega l’importanza dell’affermazione dei diritti individuali in Cina e esprime rispetto per le battaglie per i diritti civili, condotte da minoranze, ma insegue un possibile sviluppo originale cinese anche in campo giuridico appoggiandosi alle teorizzazioni della Nuova Sinistra cinese. Teme lo schiacciamento sulla tradizione giuridica occidentale e la sua pretesa universalistica e valorizza forme ibride di impresa che si creano nella trasformazione delle ex imprese di stato, o nella creazione di imprese collettive, con elementi che intrecciano pubblico e privato.

E’ la parte del saggio che suscita più interrogativi e che auspicabilmente indica piste di ricerca per il futuro. Ruskola sottolinea la difficoltà e la contraddittorietà dell’approccio teorizzato da Wang Shengjun, nominato nel 2008 Presidente della Corte suprema cinese. La sua dottrina delle “tre supremazie” sostiene che la magistratura resta soggetta alla supremazia 1. del Partito, 2. dell’interesse del Popolo, 3.della Costituzione e della legge, e queste tre supremazie non sono in ordine gerarchico, ma vanno di volta in volta bilanciate. Se questa è la posizione dei “socialisti conservatori”,  esistono però anche correnti liberali in Cina che si battono per la supremazia della Costituzione e della legge. Nella dialettica tra queste posizioni si starebbe forgiando uno Stato di diritto o una rule of law con caratteristiche cinesi, alimentato anche da posizioni che si rifanno alla tradizione confuciana e invitano a basarsi sulla secolare tradizione giuridica cinese. Ruskola ci invita a non escludere l’eventualità che la Cina possa “sinificare” il diritto, apportandovi un proprio contributo distintivo valorizzando l’universalismo confuciano.

Possiamo classificare questo saggio nell’ambito di quei tentativi di valorizzare il socialismo con caratteristiche cinesi inaugurati da Giovanni Arrighi con Adam Smith a Pechino: l’ascesa della Cina come risposta originale alla crisi globale del capitalismo.  Tra questi anche Loretta Napoleoni, che intervistata da “Repubblica Donna” dopo che il suo Maonomics risulta tra i libri raccomandati dal PCC, ribadisce che la Cina è il paese che sta uscendo meglio dalla crisi.

E del resto anche Guido Rossi, sul Sole 24 ore, raccomanda la “cura cinese per l’economia globalizzata”, mettendo in questione il connubio tra mercato e democrazia.

(Silvia Calamandrei)

 

 

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